Vale – Torino – Educatrice
La balbuzie ha saputo radicarsi con il tempo, a partire dall’età di cinque anni, forse a causa dell’ansia e di una personalità ipersensibile.
Cominciai, a circa 10 anni, a sottopormi a sedute di psicoterapia e mi resi subito conto che i miei spasmi, i miei forti bruciori allo stomaco, lo stato di apnea non diminuivano: ciò che procurava un po’ di sollievo era esclusivamente lo stato di relativa calma che inondava quella stanza… lo psicologo diceva: ci vuole tempo! Si ma quanto tempo?
Ricordo, che quando andavo in gelateria non riuscivo mai a dire il mio gusto preferito, ma ne dicevo un altro che potesse evitarmi fatica e disagio: rinunciavo al tiramisù per accontentarmi del semplice cioccolato.
Per cinque lunghi anni affiancai la logopedia alle sedute da una seconda psicoterapeuta, le speranze perdevano sempre più quota: sarei stata ogni tanto derisa e compatita e non avrei mai potuto comunicare quel tutto che nella mia mente c’è sempre stato ma che rischiava di diventare come la perla in fondo al mare mai vista da nessuno.
Intanto il mio problema, il mio essere diversa, accompagnava l’ingresso nell’adolescenza, le prime sofferenze amorose, i primi momenti di crisi amplificati dal blocco della mia parola che faceva sempre più fatica ad uscire.
Durante un breve momento di distacco dalla logopedia frequentai un corso psicofonico gestito da un Professore che aveva sofferto, a suo tempo, di tale disturbo…non balbettavo ma la mia parlata era una cantilena!
Alla soglia dei sedici anni, dopo un breve bilancio, avevo accumulato un grosso bagaglio di esperienza, tanta delusione ma anche tanta incredulità per l’adolescente che ero diventata. “… più cerchi qualcosa e più non trovi niente” dicevano le parole di una canzone ed io avevo smesso di cercare il rimedio a ciò che pendeva su di me come una condanna. Fu proprio a quel punto che, per una strana casualità, mi trovai a frequentare l’ennesimo corso.
Eravamo un folto gruppo, stranamente, percepivo per la prima volta che non avrei vissuto il vecchio e solito film: la scena si presentava diversa, protettiva, convincente.
Frequentai i tredici giorni di corso, appassionandomi lentamente alla mia parola che il mio orecchio ascoltava volentieri, e capivo che quel miracolo tanto atteso forse, adesso, avrebbe plasmato la mia vita.
Il mio appuntamento fisso era ogni seconda domenica del mese: venivano create “artificialmente” piccole prove d’ansia… spaccati di vita quotidiana. Veniva creato un cerchio dove l’istruttore sostava al centro: gli occhi in questo modo si incrociavano, come anche l’orecchio non poteva far a meno di sentire. La grinta, la passione per la parola, il desiderio di non voler tornare più indietro prendevano forma dentro di me.
I momenti di forte smarrimento, le ricadute prendevano piede quando mollavo la presa o quando la stanchezza era più forte di qualsiasi controllo. Cercavo però di non spaventarmi perché se mi serviva quel qualcosa che mi facesse parlare, ormai, era tra le mie mani.
Frequentai corsi in più sedi per circa due anni: il vedere con i miei occhi che “la barca balbuzie” aveva accolto tante persone, era fonte di sollievo e tristezza insieme, in molti soffrono ma sono qui per essere uomini e donne migliori.
Gli istruttori, tutti ex-balbuzienti, hanno vissuto il problema dall’interno, hanno cucito dentro di loro le stesse ansie, paure, senso di inferiorità che hanno fatto parte di me. Ecco, a mio avviso, la potenza e il miracolo di questo corso: la tecnica studiata e perfezionata, l’intensità dell’esercizio costante, la grinta, coniugate all’empatia con il terapeuta, portatore lui stesso di sofferenza e di piena serenità.
Oggi posso dire che le mie parole non sono più prigioniere del mio corpo e che, finalmente libera, mi sento una persona con una marcia in più. Delle mie difficoltà mi rimane la sensibilità di chi ha sofferto ma anche la forza di chi ha saputo sempre rialzarsi dopo una brutta caduta.